La relazione tra colore e lunghezza d'onda, tra percezione e dato numerico, è analogo alla determinazione del diapason e delle isofoniche in campo acustico. Preso un campione di persone e sottoposte ad una serie di test cromatici è stato possibile determinare la relazione tra composizione spettrale e colore. La commissione internazionale che si occupa di questi fenomeni (CIE, Commission Internationale de l'Eclairage) ha definito tre opportuni parametri: brillanza, tono e saturazione. In questo senso possiamo immaginare come, anche in chiave sottrattiva, una superficie perfettamente liscia e una ruvida dello stesso colore risulti più chiara dell'altra. Il fenomeno è legato alla differente capacità di riflettere la luce da parte delle due superfici; quella più ruvida, sottoposta ad ingrandimento, presenta tante piccole escrescenze che riflettono la luce in molteplici direzioni e la deviano rispetto all'osservatore producendo un coefficiente di brillanza (o di riflessione) puntuale (misurato rispetto ad un punto, l'occhio) più basso di una lucida, traendo in “inganno” la nostra percezione. Ogni colore ci appare con proprietà di brillanza differenziate e autonome a prescindere dall'intensità d'emissione. Inoltre ammesso che sia possibile ottenere una perfetta riproduzione dello spettro cromatico con lunghezze d'onda tutte di pari intensità non è difficile immaginare come il processo della percezione ci faccia apparire alcuni colori, al cospetto di altri, con maggiore presenza e più luminosi.
La computer grafica oggi ci permette di capire meglio i fenomeni percettivo-cromatici potendo dosare percentuali e intensità dei colori con una precisione fino a qualche anno fa impossibile. Il confronto digitale e analogico tra le due immagini (relative alla misurazione del “peso” percettivo di relazione tra i colori) mostra impietosamente le notevoli differenze tra le due tecniche di rappresentazione.